THERE IS ALWAYS HOPE

THERE IS ALWAYS HOPE
"Prendete una sedia e sistematevi sull'orlo del precipizio: solo allora potrà avere inizio la storia che voglio raccontarvi"
Francis Scott Fitzgerald
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martedì 16 febbraio 2010

L'effetto dell'anestetico a lunga scadenza è svanito


Chi se lo aspettava, pensa lei.
L'effetto dell'anestetico a lunga scadenza è svanito.
Il suo stomaco è chiuso, un leggero dolore la coglie impreparata.
Come un pugno che afferra le sue budella.
Ecco ,questa è l'immagine che ha,
qualcuno le stringe le budella e la tiene sollevata.
Un dolore che nello stesso tempo ha un che di piacere.
E' il piacevole fastidio di chi aspetta...
aspetta lui.
L'effetto dell'anestetico a lunga scadenza è svanito.
sente un altro bruciore: spaesamento.
E' nel suo letto, grande e pulito.
Lui questa sera non c'è. Lei ha quasi la sensazione di smarrimento.
A chi si abbraccia questa sera?... essere nuda
Desiderio di abbracci.
L'unico modo per addormentarsi,
Domani li avrà.
...

Finalmente il giorno è arrivato.
La notte è passata fra poco lo vede,
allora non c'è cosa più bella che prepararsi per lui,
per l'incontro della mattina.
Suona il telefono, un messaggio : buongiorno, bacio bacio.
risposta: bacio bacio
Stadi di ansia controllati... rallentare per poi assaporare.
...

Un punto di domanda.
Lo sguardo cade su un dettaglio, si fa finta di niente?
dentro brucia, per la quiete della storia è meglio non dire.
Anche questo vuol dire crescere insieme?

...
Allora non parliamo delle sue ansie



venerdì 11 settembre 2009

A study in choreography for camera (1945, Maya Deren)

Maya Deren (Kiev, 29 aprile 1917 – New York, 13 ottobre 1961) è stata una regista statunitense di origine ucraina, attiva negli anni quaranta e anni cinquanta del XX secolo.

Negli anni trenta e quaranta Maya Deren si dedicò anche alla danza, compiendo una tournée nazionale con la compagnia della ballerina e antropologa afro-americana Katherine Dunham. Insieme a questa compagnia si trasferì a Hollywood all'inizio degli anni '40, dove conobbe il regista cecoslovacco espatriato Alexander Hamid, detto Sasha. I due si sposarono nel 1942, e si trasferirono a New York nel 1943. La danza è una forma di espressione artistica che, anche nei successivi sviluppi della sua attività di cineasta, rimarrà una delle passioni e degli interessi principali di Deren. Anche negli anni della maturità, amerà esibirsi in pubblico durante i party organizzati dai circoli di intellettuali di New York.

domenica 17 maggio 2009

O è BIANCO O è NERO

O è bianco o è nero, il grigio esiste solo quando la posta è alta, anzi altissima.
La stima che si ha per se stessi è più di qualsiasi presunzione altrui.
Si cresce e le esperienze passate alimentano la forza interiore.
Troppe parole che stancano, che mandano in corto circuito il sistema, e allora ci si chiede: " ne vale la pena?"...
No, energie sprecate...
perchè ancora appartengono a qualcun altro.
Il magma confusionale è ben lontano e diverso da quello passionale.
Non si può legare con una corda di parole "inutili" chi ha voglia di volare. Solo corde di fili di seta hanno tale pregio.
Difficile accontentarsi dopo che hai conosciuto il calore della seta... sicuramente Arriverà anche quel momento.
Quel momento non è ora.

Distinguere le apparenze dalla realtà concreta, il vero dal falso, capire, insomma, ciò che <<è>> e ciò che accade.
Conoscere è sempre scegliere, io scelgo, perchè adesso so cosa fare.
Volo.

venerdì 24 aprile 2009

SAVIANO CI AVEVA AVVERTITO...

In Gomorra, Saviano ci aveva avvertito che le case degli Abruzzesi erano piene di sabbia



Davvero toccante rileggere ora, dopo la tragedia in Abruzzo, le parole di Saviano nel libro "Gomorra". Aprite a pagina 236 e leggete:
Io so e ho le prove. So come è stata costruita mezz'Italia. E più di mezza. Conosco le mani, le dita, i progetti. E la sabbia. La sabbia che ha tirato su palazzi e grattacieli. Quartieri, parchi, ville. A Castelvolturno nessuno dimentica le file infinite dei camion che depredavano il Volturno della sua sabbia. Camion in fila, che attraversavano le terre costeggiate da contadini che mai avevano visto questi mammut di ferro e gomma. Erano riusciti a rimanere, a resistere senza emigrare e sotto i loro occhi gli portavano via tutto. Ora quella sabbia è nelle pareti dei condomini abruzzesi, nei palazzi di Varese, Asiago, Genova.
(Saviano - Gomorra)

domenica 15 marzo 2009

mazurca francese

.... tre del mattino: d'improvviso divento totale protagonista della mia serata dopo aver ballato pizzica e tammuriata. Esco dal locale.

Mi lascio rapire da un suono malinconico, leggero e sensuale. Periferia milanese, Una piazza, 5 coppie avvolte nei loro abbracci, occhi chiusi... BAllano.
Cosa fai li seduta a guardare?... ma io... non so ballare questa danza.
Neanche il tempo di dire ciò, sono anche io abbandonata tra le bracce di un uomo a me sconosciuto. Mi stringe forte a se e inizia a farmi scrivere una sceneggiatura di passi.
Come un tango, ma non è un tango, è una mazurca francese.
Un due tre... un due tre... un due tre... variante, giro completo... un due tre un due tre
GUancia a guancia occhi chiusi, un braccio forte che mi stringe a se... la passione del ballo.
La musica finisce apro gli occhi e intorno a me altre persone sognanti.
Risento il freddo... ma mentre ballavo non lo sentivo.
C'è vento, è una delle prime notti primaverili.
Sto bene.

giovedì 12 marzo 2009

"LA LEGGE INTRINSECA DELLA VITA" da Pick Up sceneggiatura ManyHands

SCENA 1/ VOCE OFF

Ci sono le cosiddette leggi… che regolano un po’ tutto. Il verde pallido dell’inizio di primavera. Le note che suonano come un lontano blues dell’anima. Le amicizie e gli incontri casuali lungo una strada che spesso nulla significano… questo lo si scopre solo dopo.
Delle leggi, poi te ne puoi anche infischiare… e scegliere altre vie, o fartene tu di tue.

Ma una ti accompagna sempre, anche quando tutto sembra un gran casino assurdo.

Annotatevela, io ce ne ho messo per capirla, c’è chi la capisce al volo. Come fosse scritta dentro le ossa. E chi invece ci mette una vita.

Quella legge non dice nulla di più che una sigaretta è una sigaretta, un campo verde è un campo verde e un uomo è sempre e comunque un uomo, anche nella sua inutilità… Non c’è nulla dietro questo… c’è solo la vita che scorre implacabile, senza motivo se non quello che noi cerchiamo, a tappe, di distribuire…
Il senso… spesso neanche i film ce l’hanno… un senso.

sabato 3 gennaio 2009

Più Di Me


Sai c’è una ragione di più
per dirti che vado via
vado e porto anche con me
la tua malinconia
certo le mie mani
ti vorranno ancora
ma ci sarà chi me le tiene
oggi e domani
e poi domani ancora
finchè il mio cuore ce la fa
sei tu quella ragione di più
mi hai chiesto
talmente tanto

io non ho più niente
per te e ti amo
tu non sai quanto
amo da morire anche il tuo silenzio
che non mi lascia andare via
vado ma se mi dici
non lasciarmi solo
non so se il cuore ce la fa
è una ragione di più.

Ornella Vanoni

mercoledì 10 dicembre 2008

OIL: LA FORZA DEVASTANTE DEL PETROLIO LA DIGNITà DEL POPOLO SARDO

Il documentario, frutto di un lungo lavoro sul campo, racconta l’odissea della popolazione di Sarroch (Cagliari) in rapporto con la raffineria Saras, e gli effetti di quest’ultima sull’ambiente e la salute dei cittadini.
Saranno presenti il regista Massimiliano Mazzotta, Ezio Cuoghi (Direttore della scuola di Nuove Tecnologie per l’Arte, Accademia di Brera), Antonio Caronia (Docente di Comunicazione multimediale, Accademia di Brera), Annibale Biggeri (Ricercatore, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Dipartimento di Statistica, Università degli studi di Firenze).


SE AVETE DEL TEMPO ANDATE A VEDERE...
NE VALE LA PENA

lunedì 1 dicembre 2008

Anita Berber


Anita Berber è stata uno dei personaggi più scandalosi della Repubblica di Weimar. Non ebbe paura di mostrare la sua bisessualità ed i suoi vizi smodati fra uso di droghe ed altri eccessi, ma fu soprattutto un’attrice carismatica e la prima danzatrice che si esibì nuda incarnando sulle scene l'incredibile modernismo di una cultura e di un'umanità che il nazionalsocialismo tedesco spazzò via nel giro di dieci anni.

Morì di overdose nel 1928.

Anita Berber (1899 – 1928) was a German dancer, actress, writer, and prostitute who was the subject of an Otto Dix painting. She lived during the Weimar period.

Born to divorced bohemian parents (a cabarét artist and a violinist), she was raised mainly by her grandmother in Dresden. By the time she was 16, she had moved to Berlin and made her debut as a cabaret dancer. By 1918 she was working in film, and she began dancing nude in 1919. She was scandalous, androgynous and infamous, quickly making a name for herself on the Berlin scene. She wore heavy dancer’s make-up, which on the black and white photos and films of the time came across as jet black lipstick painted across the heart-shaped part of her skinny lips, and charcoaled eyes.[1]

Her hair was cut fashionably into a short bob and was frequently bright red, as in 1925 when the German painter Otto Dix painted a portrait of her, titled "The Dancer Anita Berber". Her dancer friend and sometime lover Sebastian Droste, who performed in the film Algol (1920), was skinny and had black hair with gelled up curls much like sideburns. Neither of them wore much more than lowslung loincloths and Anita occasionally a corsage worn well below her small breasts.[1]

Berber's cocaine addiction and bisexuality were matters of public chatter.[2] She was allegedly the sexual slave of a woman and the woman's 15-year-old daughter. She could often be seen in Berlin's hotel lobbies, nightclubs and casinos, naked apart from an elegant sable wrap, with a pet monkey and a silver brooch packed with cocaine. Besides being a cocaine addict, she was an alcoholic, but at the age of 29, gave up both suddenly and completely. According to Mel Gordon in The Seven Addictions and Five Professions of Anita Berber,[3] she was diagnosed with galloping tuberculosis while performing abroad. She died on November 10, 1928 in a Kreuzberg hospital and was buried at St. Thomas cemetery in Neukölln.

A 1987 film by Rosa von Praunheim titled Anita - Tänze des Lasters centres around the life of Anita Berber.[4] The band Death in Vegas named a song after her, and is on the album Satan's Circus.

filmografia

Unheimliche Geschichten (Storie inquietanti, 1919)
Regia: Richard Oswald; sceneggiatura: R. Oswald, Robert Liebmann; fotografia: Carl Hoffmann; interpreti: Anita Berber, Reinhold Schünzel, Conrad Veidt, Hugo Döblin, Paul Morgan, Georg John; origine: Germania; produzione: Film AG; durata: 109’

Il dottor Mabuse
Il dottor Mabuse
Regia
Fritz Lang
Cast
Lil Dagover, Alfred Abel, Rudolf Klein-Rogge, Anita Berber, Aud Egede Nissen, Gertrude Welcker, Bernhard Goetzke, Robert
Anno
1922
Durata 242 minuti Audio Muto
Genere Horror Distribuzione Dischi Ermitage srl
Trama
Diviso in due parti, Ein Bild der Zeit (Il grande giocatore - Un quadro dell'epoca�) e Inferno-Menschen der Zeit (Inferno-Uomini dell'epoca), e' il primo dei tre film che Fritz Lang ha dedicato alla figura del genio malefico del dottor Mabuse. Dai Mabuse discendono gli Himmler, gli Hitler...(Fritz Lang)

martedì 14 ottobre 2008

i pensieri ci sono...



i pensieri ci sono...
soltanto non hanno voglia di uscire dal loro bel cassetto.
Tutto intorno si muove.
Sara ha smesso di incontrarlo,
non capisce bene se è la realtà ad essere più forte del suo pensiero
o viceversa,
o semplicemente,
realtà e pensieri
d'improvviso si fondono insieme.


martedì 7 ottobre 2008

30 ANNI

Perché io mi divertivo ad avere trent’anni, io me li bevo come un liquore i trent’anni: sono stupendi i trent’anni, ed anche i trentuno, i trentadue, i trentatré, i trentaquattro, i trentacinque!

Sono stupendi perché sono liberi, ribelli, fuorilegge, perché è finita l’angoscia dell’attesa, non è incominciata la malinconia del declino, perché siamo lucidi, finalmente, a trent’anni!

Se siamo religiosi, siamo religiosi convinti; se siamo atei, siamo atei convinti. Se siamo dubbiosi, siamo dubbiosi senza vergogna. E non temiamo le beffe dei ragazzi perché anche noi siamo giovani, non temiamo i rimproveri degli adulti perché anche noi siamo adulti. Non temiamo il peccato perché abbiamo capito che il peccato è un punto di vista, non temiamo la disubbidienza perché abbiamo scoperto che la disubbidienza è nobile.

Non temiamo la punizione perché abbiamo concluso che non c’è nulla di male ad amarci se c’incontriamo, ad abbandonarci se ci perdiamo: i conti non dobbiamo più farli con la maestra di scuola e non dobbiamo ancora farli col prete dell’olio santo. Li facciamo con noi stessi e basta, col nostro dolore da grandi.

Siamo un campo di grano maturo a trent’anni, non più acerbi e non ancora secchi: la linfa scorre in noi con la pressione giusta, gonfia di vita. E’ viva ogni nostra gioia, è viva ogni nostra pena, si ride e si piange come non ci riuscirà mai più, si pensa e si capisce come non ci riuscirà mai più.

Abbiamo raggiunto la cima della montagna e tutto è chiaro là in cima: la strada per cui siamo saliti, la strada per cui scenderemo. Un po’ ansimanti e tuttavia freschi, non succederà più di sederci nel mezzo a guardare indietro e avanti.

E meditare sulla nostra fortuna.

mercoledì 1 ottobre 2008

IN_ASPETTATO

ciò che è inaspettato...

mosso da piccole coincidenze,
colorate e saporite,
apparentemente casuali,
legato da momenti di silenzio e osservazione


...è quello che mi fa sorridere e credere
nella bellezza del mio viaggio.

mercoledì 17 settembre 2008

Aladino (un racconto arabo)

Aladino era un ragazzo che abitava in una città della lontana Arabia, e che non aveva una gran voglia di lavorare.

Anzi, non ne aveva nessunissima voglia. Inutilmente suo padre, che faceva il sarto, lo rimproverava, lo incitava a cercarsi un’occupazione:
"Diventerai uomo e ti dispiacerà d’aver perduto tanto tempo.

Agli oziosi vengono brutte idee per la testa".
"Sarà quel che sarà", rispondeva Aladino.
Morto il padre, il ragazzo continuò a bighellonare da mattina a sera. E un giorno, mentre stava giocando, come al solito, con alcuni amici, gli si avvicinò un forestiero.

"Sei tu il figlio del sarto?", gli domandò costui.
"Sì", rispose Aladino, "ma mio padre è morto da qualche anno".
Il forestiero si mise a piangere: "Povero fratello mio. Ero venuto qui dall’Africa, dove vivo, per riabbracciarlo. Oh, che disgrazia!".
"Voi dunque sareste mio zio?", si stupì Aladino. "Non assomigliate a mio padre nemmeno un po’. Comunque venite, vi porto da mia madre".
Nemmeno la donna aveva mai saputo dell’esistenza di quello zio, che tuttavia le piacque perché assicurava di volersi prendere cura di Aladino, che lo avrebbe indotto a lavorare, e l’avrebbe fatto diventare ricco.
"Verrai con me. Ti porterò in un posto che sarà la tua fortuna", disse. E, preso per mano Aladino, che in realtà avrebbe preferito restarsene a casa, lo costrinse a seguirlo.
Camminarono per alcune settimane finché, giunti in una radura, il forestiero rivelò ad Aladino chi egli fosse in realtà.
"Non sono tuo zio, ma un mago. Ho deciso di renderti ricco, anzi ricchissimo. Lo vedi questo macigno? È pesante, ma tu dovrai spostarlo. Lì sotto c’è una caverna piena di diamanti. Ci entrerai e quell’immenso tesoro sarà tuo".
Aladino era molto diffidente. E aveva ragione. Lui non lo sapeva, ma quello era un mago cattivissimo.
Attraverso terrificanti sortilegi aveva scoperto dov’era nascosto il più fantasmagorico tesoro del mondo, che contava, tra le tante meraviglie, una piccola lampada dagli straordinari poteri. Ma aveva anche scoperto che c’era una pietra a chiudere l’antro in cui quel tesoro era custodito, e che a sollevarla poteva essere una sola persona: quel fanciullo di nome Aladino.
Così, intendeva servirsi di lui.

Per vincere la diffidenza di Aladino, perciò, il mago non esitò a consegnargli un anello.
"Mettilo al dito, non togliertelo mai. È un anello magico: ti sarà d’aiuto in tante occasioni. In cambio, tu per me dovrai fare una cosa: portarmi la piccola lampada che troverai in fondo alla caverna".
Incuriosito, Aladino a quel punto decise di spostare il macigno.
Sotto c’era una scala che scendeva, profondissima, e il ragazzo la discese. Si trovò così in una grandissima caverna, con degli alberi meravigliosi dai cui rami pendevano, invece dei frutti, grappoli di brillanti, e ce n’erano da riempire cento sacchi, a raccoglierli.

Aladino non sapeva che cosa fossero i brillanti, però il loro luccichio gli piacque. Così ne colse alcune manate e se ne riempì le tasche.
Vide anche la lampada. La prese, e cominciò a risalire verso l’imboccatura della caverna, dove il mago lo attendeva sempre più impaziente.
"Dammi la lampada, presto", gli ordinò il mago.
Era sua intenzione, non appena ottenuto ciò che gli stava a cuore, far ricadere il ragazzo nel baratro per lasciarvelo morire.
"No, prima voglio uscire", s’insospettì Aladino.
"Prima la lampada!".
"No. Prima mi tiri fuori!".
A questo punto il mago, arrabbiatissimo, disse una formula magica e l’imboccatura del sotterraneo si richiuse sul povero Aladino che, disperato, piangeva a dirotto. E mentre piangeva, passava inavvertitamente le dita sull’anello, strofinandolo.
Sappiamo già che l’anello era magico. Sollecitato a quel modo, esso rivelò subito i suoi poteri. Infatti, in una luce abbagliante, davanti ad Aladino apparve un genio.
"Comanda cosa vuoi", disse il genio ad Aladino inchinandosi, "e io ti accontenterò".
"Riportami subito a casa", fu la richiesta.
In men che non si dica, il ragazzo si ritrovò dalla madre, le mostrò le pietre preziose e la lampada che aveva con sé.
La donna trasalì, comprendendo la straordinarietà di quanto vedeva.
Nervosamente si mise a pulire la lampada che, essendo magica, era la casa di un genio ancor più potente di quello dell’anello.
Richiamato da quel gesto, il nuovo genio subito le comparve davanti.
"Sono al tuo servizio", s’inchinò. "Ordina e io ti esaudirò".

Fino ad allora, nella povera casa di Aladino si era sofferta la fame, perciò ella chiese una tavola imbandita con gustose vivande e buon vino.
Immediatamente la tavola fu apparecchiata: una tavola principesca, che ritornò tutti i giorni, due volte al giorno.
Sostenuto dalla buona sorte, Aladino smise di oziare, lavorò, si dette buon nome. La gente giunse persino a lodarlo, a riverirlo.
Un giorno Aladino intravide, non visto, la bellissima figlia del re che usciva a passeggio. Non visto, in quanto se ne stava nascosto perché, quando la principessa usciva in pubblico, tutti dovevano rinchiudersi in casa e non ardire di alzare gli occhi su di lei, pena la morte.
Ma la curiosità aveva indotto il giovane a dare una sbirciatina. E subito se ne innamorò.
"Madre, voglio sposare la principessa".
"Oh, povero figlio mio. Sei impazzito?", trepidò la donna.
"Mai stato più in senno, madre. Ecco qui una ciotola di brillanti. Vai in udienza dal re, che ti riceverà. E tu, offrendogli un dono così strabiliante, gli dirai che glielo mando io, e che voglio sposarne la figlia".
Tremando di paura per l’ardire, la madre di Aladino si recò dal re, e fece ciò che le aveva detto il figlio.
Visto l’inestimabile tesoro recatogli in dono, il re si rallegrò. Se regalava simili ricchezze al suo re, quel giovane ben poteva essere lo sposo della principessa.
Per celebrare degnamente le nozze, Aladino strofinò la lampada e chiese al genio di costruirgli un palazzo più bello di quello del re.

E subito, ecco sorgere dal nulla la nuova, meravigliosa dimora di Aladino e della sua sposa.
Tutto, dunque, sembrava procedere per il meglio. E non ci sarebbero state complicazioni di sorta nella vita dei due, se non fosse accaduto che il mago che aveva cercato d’ingannare Aladino, rimpiangendo continuamente la lampada perduta, non avesse insistito nei suoi esperimenti per sapere che cosa ne fosse stato del ragazzo, se egli fosse morto davvero nel profondo della caverna.
Seppe così che non solo Aladino era vivo, ma possedeva, oltre all’anello, anche la lampada magica. Perciò, pieno di stizza, ripartì alla volta dell’Arabia.
Quando vide lo splendido palazzo di Aladino, una rabbiosa invidia prese a tormentarlo. Non volendosi arrendere alla fortuna dell’altro, si travestì da mercante, attese che Aladino accompagnasse il re in un viaggio nei reami vicini, si fece ricevere dalla principessa e, un po’ con parole sdolcinate, un po’ per magia, la trasse in inganno.
Le fece credere cioè che la lampada custodita dal suo sposo era vecchia e non valeva nulla: gliela avrebbe cambiata con una bella lampada nuova.

La principessa, ignara di tutto, accettò.
Avuta fra le mani, finalmente, la lampada magica, il mago ordinò al genio di trasportare il palazzo di Aladino, con tutti i suoi abitanti, in Africa. E il genio non poté far altro che ubbidire.
Non appena tornato dal viaggio, non vedendo più né il palazzo né la principessa, Aladino comprese ciò che era accaduto.
Ma non si perse d’animo. Strofinò l’anello che aveva ricevuto tanto tempo prima dal mago e che sempre portava al dito.
Rapido apparve il primo genio, quello che lo aveva salvato dalla caverna dove il mago lo aveva rinchiuso.
"Riportami subito qui mia moglie e il mio palazzo, ovunque essi siano", gli ordinò Aladino.
Gli rispose il genio: "Ogni tuo desiderio per me è un ordine, padrone. Ma questo non posso esaudirlo. Perché l’incantesimo è stato compiuto dal genio della lampada, che è molto più potente di me".
"E allora portami dalla principessa", disse Aladino.
In men che non si dica, era già in Africa, nel suo palazzo, al fianco della sua sposa, disperata, in lacrime, perché temeva di dover dire addio per sempre ad Aladino, al padre, al suo Paese.
La felicità dei due, quando si riabbracciarono, è facile da immaginare.
"E adesso", disse Aladino alla principessa, dopo averle confidato la sua lunga avventura con il mago, "ci riprendiamo la lampada".
"Ma come?", rispose lei, dubbiosa.
"È facile. Inviti a cena il mago, che essendo un grande vanitoso, si lascerà conquistare dai tuoi complimenti. E tu gliene farai tanti..."
"Io, Aladino, fargli dei complimenti?".
"Sì, mia diletta. E lo farai bere tanto. Anzi, per essere più sicuri, metterai del sonnifero nella sua coppa di vino".
"Ho capito", sorrise la principessa.
Tutto avvenne secondo il previsto. Non appena il mago si addormentò, Aladino, che fino ad allora s’era tenuto nascosto, venne fuori, tolse la lampada dalle mani del mago e la strofinò. Ed ecco apparire il genio.
"Tu, genio", comandò Aladino, "porta questo mago dove nessuno lo possa mai più trovare. E riporta questo palazzo, con tutto ciò che contiene, in Arabia".
Così avvenne.
E in Persia, Aladino e la principessa vissero felici, a lungo.
Potrebbe darsi che, a cercarli proprio bene, magari con l’aiuto di qualche genio, si riesca ancora oggi a trovarli là.


http://www.lefiabe.com

lunedì 25 agosto 2008

"Ma bisognava essere liberi,
approfittare di ogni attimo,
sperimentare ogni passo di quella passeggiata
che chiamiamo vita."

l'arte della gioia
einaudi

giovedì 21 agosto 2008

Toda Joia Toda Beleza

Toda Joia Toda Beleza
Tutta la gioia tutta la bellezza
L'uomo è pazzo
Bellezza desiderata
Bellezza che manca
Bellezza d' oro
Ogni giorno mi vedo
Bellezza di niente
Bellezza di tutto il passato dimenticato
che torna di nuovo
Come delle linee
Bellezza d' acqua
Ogni giorno un pò di fortuna
Bellezza di fuoco
Per saper arrivare
Bellezza che pensa e che non si avvicina
Bellezza di luce
Ogni giorno rido
Bellezza di notte
Bellezza del mare
Ogni giorno è un giorno
Bellezza di pace
E polvere che si trasforma
Bellezza che tocca la mia anima profonda
che riempie la mia vita
Dove vai malandrino?
Vado in battaglia in questo giorno qualunque
Tu sei l'elemento
Quello che mi manca sempre
canto caliente è arrivato all'improvviso
registrando il mio destino,
il cullare della mia mente
Ciò che il mio cuore sente
Tu sei l'elemento
Quello che mi manca sempre
Sono come il vento che non tocchi
Tutta la gioia tutta la bellezza
Tu sei l'elemento
Tutta la gioia tutta la bellezza
Te lo dico chiaramente
Toda Joia Toda Beleza

Miti e liggenni dâ Sicilia

Etna è lu nomu di na dia di la mitulogìa greca.
Era cunziddirata figghia di
Uranu e Gea. Lu dragu Tifone, si pinzava ca campava nte vìsciri di l’ Etna e era lu mutivu di li distruttivi eruzzioni.
La Sicilia, terra di
vurcani e frummentu, era mutivu di liti cuntinui tra Efesto e Demetra, dei lu primu dô focu e la secunna di li messi. Etna fici di àrbitru.

Fata Morgana
Na liggenna assai cuntata nta tutti li cuntrati dô
Stritto dici ca nta l’èbbica di li nvasioni barbàrichi ntô misi d’austu, mentri celu e mari eranu senza nu ciusciu di ventu, e na negghia nica-nica faceva comu a nu velu a l'urizzonti, li bàrbari doppu ca attravissaru tutta la pinìsula taliana, agghicaru ntê costi dâ cità di Riggiu e s’attrovaru davanti a lu stritto ca sparti la Calàbbria da Sicilia.‘N facci, nta l’àutra spunna dô mari, vìttiru n'isula - la Sicilia - cu nu granni munti fumanti - l'Etna - e lu Re bàrbaru s’addumannò comu putìa fari pi agghiuncìrila truvànnusi senza mancu na varca.Mpruvvisamenti apparìu na fimmina bedda assai, ca ci uffrìu l'ìsola a lu cunquistaturi, e cu nu cennu dâ manu ci la fici appariri vicinissima, a purtata di manu . Taliannu nta l'acqua iddu vidìa chiari li munti, li spiaggi, li strati di campagna e li navi ntô portu comu si potissi tuccàrili chê manu. Picciò lu Re bàrbaru sautò ‘n terra dô cavaddu e si jittò nta l'acqua, sicuru di putiri agghicari a l'ìsula cu nu paru di brazzati, ma l'incantèsimu si ruppi e lu Re annijò miseramenti. Tuttu chiddu ca avìa vistu era, nfatti, nu miraggiu, nu jocu di luci di la bedda e scanusciuta fìmmina, ca era la Fata Morgana.

La liggenna di Aci e Galatea vinni di li
Greci pi spiecari la ricchizza dî surgivi di acqua duci ca truvaru ntâ zona di l’Etna.
Aci e Galatea (Rosariu Anastasi, pinacuteca Zelantea)
Aci, era un pastureddu ca viveva, pasculannu li sò pecuri, nte pinnici di l’Etna. Di iddu era nnammurata na biddìssima carusidda, ca si chiamava Galatea e ca avìa rispintu la pruposta d’amuri di
Polifemu. Chistu, quannu s’accurgìu ca Galatea sa facìa cu lu pastureddu Aci, lu ammazzò, p’aviri, accussì, la strata lìbbira cu la bedda carusedda Galatea. Ma, l’amuri di Galatea pi lu sò Aci, cuntinuò macari nfinu a doppu ca chistu era mortu, e Polifemu ristò comu nu passuluni. La janca Nereide, scunzulata, cu l’ajutu di li Dei, traspurmò lu corpu mortu di Aci nta surgivi di acqua duci, ca ancora oggi scìnninu pi li pinnici di l’Etna, vucalijannu sona malincònici di struggenti nustalgìa.

Li rifirenzi giogràfici lijati â liggenna [cancia]
Vicinu la costa, ammeri a na cuntrada chiamata oggi "Capu Mulini", nta nu locu dispìcili di agghiùnciri dà terra e cchiù facirmenti dô mari, c’è na nica surgiva firrusa ditta di li pupulazzioni lucali "lu sangu di Aci" pi lu sò culuri russastru.
Nta la lucalità chiamata oggi "
Capo Molini" ci fu na vota nu nicu villaggiu di piscatura ca era chiamatu, pi mimoria di lu pastureddu dô mitu grecu, Aci. Ntô XI° sec. d.c.d.C.D.C. un tirrimotu distrussi lu villaggiu, e la pupulazzioni ca supravvivìu funnò àutri paisi ntê vicinanzi. A mimoria di lu nomu di lu villaggiu d’orìggini, li novi paisi foru chiamati Aci. Doppu tempu, si funnaru àutri paisi e, pi scanciari nu paisi di l’àutru, a ogni cuntrada ci fu misu un secunnu nnomu, sparti di Aci; nascìu accussì Aci Casteddu ( pi nu casteddu custruitu supra nu faragghiuni), Acitrizza (pi la prisenza di tri faragghiuni ntô mari d’avanti ô paisi), Aci Bonaccorsi, Aci Catena, Aci S.Antoniu, Aci Platani e Aci Sanfulippu.

lunedì 21 luglio 2008

le sei del mattino

Ritornata a lavorare, finalmente con il mio avid.
Tutto piu semplice!
Dopo un weekend cosi bello e impegnativo si ritorna al rigore.
La mia macchina é tutta rigata, il baldo giovine che voleva far la mia conoscenza venerdi' notte, ha trovato un metodo alquanto simpatico! Tamponarmi!
- Non ci posso credere! mi vien da ridere. Scusa ma non hai visto che mi son fermata?
- si però... pensavo che passassi ugualmente, scusa veramente tanto.
- Con il rosso?... vabbè che ho bevuto un pochino ma alla guida ci son sempre con la testa.
- Ti va una birra?
- Una birra? ma son le sei del mattino!
ma tutti a me capitano?
Comica!... be alla fine siamo obbligati a far conoscenza.
Simpatico ma limitato....
è da due giorni che manda messaggi per sapere come sto... e io non rispondo
Bene, bene, grazie il colpo di frusta non l'ho subito.
MI lasci in pace ora?

E' un nuovo volo.

Abbracciati l'uno all'altro.
IL maestro la bacia.
Le regala un bacio, uno dei gesti più intimi.
Il sapore di lui, mai dimenticato. La passione vibra tra le loro lingue.
Lei ha tra le sue mani il viso di lui.
Sara è ingorda ne vorrebbe ancora, ancora, ancora.

Nei suoi occhi si perde.

Riesce a tuffarsi dentro la profondità dei suoi luccichii e viaggiare insieme con lui.
Quella è la sua metà, lui è la sua metà , lui fa sentire Sara completa.
E' il suo sesto senso.

Basta solo il suo sguardo e Lei sente di appartenere unicamente a lui.
Non è possesso, è Amore.... è quello che non si può descrivere con le parole.
Ma come fare?
C'è bisogno di tempo e di silenzi.
IL maestro la bacia, La stringe come solo lui sa fare, avvolgendola con le sue braccia forti ma nello stesso momento vorrebbe respingerla.
Lo fa, La mente avanza.
Sara è ingorda ne vorrebbe ancora, ancora, ancora.

Il maestro però sceglie intenzionalmente il NO.
- Perchè no?
- perchè no.
- Perchè no?
- perchè non è giusto...
Sara ha osato, ha rotto un equilibrio, ma non ha paura.

Volta le spalle e sceglie di lasciarlo li al suo no.
Non vuole convincere nessuno. Non lo ha mai creduto giusto.

NOn vuole turbare nessuno.

Questa silenziosa stagione è la fase della preparazione ai nuovi eventi, sconosciuti ancora, ma certo come altri vissuti, lieti e dolorosi, splendidi e quotidiani.

- MI riporterai li sull'isola rosa?
- e chi lo sa, meglio non fare domande.
- Hai ragione. Lasciamo andare le cose...