THERE IS ALWAYS HOPE

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"Prendete una sedia e sistematevi sull'orlo del precipizio: solo allora potrà avere inizio la storia che voglio raccontarvi"
Francis Scott Fitzgerald
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lunedì 1 dicembre 2008

Anita Berber


Anita Berber è stata uno dei personaggi più scandalosi della Repubblica di Weimar. Non ebbe paura di mostrare la sua bisessualità ed i suoi vizi smodati fra uso di droghe ed altri eccessi, ma fu soprattutto un’attrice carismatica e la prima danzatrice che si esibì nuda incarnando sulle scene l'incredibile modernismo di una cultura e di un'umanità che il nazionalsocialismo tedesco spazzò via nel giro di dieci anni.

Morì di overdose nel 1928.

Anita Berber (1899 – 1928) was a German dancer, actress, writer, and prostitute who was the subject of an Otto Dix painting. She lived during the Weimar period.

Born to divorced bohemian parents (a cabarét artist and a violinist), she was raised mainly by her grandmother in Dresden. By the time she was 16, she had moved to Berlin and made her debut as a cabaret dancer. By 1918 she was working in film, and she began dancing nude in 1919. She was scandalous, androgynous and infamous, quickly making a name for herself on the Berlin scene. She wore heavy dancer’s make-up, which on the black and white photos and films of the time came across as jet black lipstick painted across the heart-shaped part of her skinny lips, and charcoaled eyes.[1]

Her hair was cut fashionably into a short bob and was frequently bright red, as in 1925 when the German painter Otto Dix painted a portrait of her, titled "The Dancer Anita Berber". Her dancer friend and sometime lover Sebastian Droste, who performed in the film Algol (1920), was skinny and had black hair with gelled up curls much like sideburns. Neither of them wore much more than lowslung loincloths and Anita occasionally a corsage worn well below her small breasts.[1]

Berber's cocaine addiction and bisexuality were matters of public chatter.[2] She was allegedly the sexual slave of a woman and the woman's 15-year-old daughter. She could often be seen in Berlin's hotel lobbies, nightclubs and casinos, naked apart from an elegant sable wrap, with a pet monkey and a silver brooch packed with cocaine. Besides being a cocaine addict, she was an alcoholic, but at the age of 29, gave up both suddenly and completely. According to Mel Gordon in The Seven Addictions and Five Professions of Anita Berber,[3] she was diagnosed with galloping tuberculosis while performing abroad. She died on November 10, 1928 in a Kreuzberg hospital and was buried at St. Thomas cemetery in Neukölln.

A 1987 film by Rosa von Praunheim titled Anita - Tänze des Lasters centres around the life of Anita Berber.[4] The band Death in Vegas named a song after her, and is on the album Satan's Circus.

filmografia

Unheimliche Geschichten (Storie inquietanti, 1919)
Regia: Richard Oswald; sceneggiatura: R. Oswald, Robert Liebmann; fotografia: Carl Hoffmann; interpreti: Anita Berber, Reinhold Schünzel, Conrad Veidt, Hugo Döblin, Paul Morgan, Georg John; origine: Germania; produzione: Film AG; durata: 109’

Il dottor Mabuse
Il dottor Mabuse
Regia
Fritz Lang
Cast
Lil Dagover, Alfred Abel, Rudolf Klein-Rogge, Anita Berber, Aud Egede Nissen, Gertrude Welcker, Bernhard Goetzke, Robert
Anno
1922
Durata 242 minuti Audio Muto
Genere Horror Distribuzione Dischi Ermitage srl
Trama
Diviso in due parti, Ein Bild der Zeit (Il grande giocatore - Un quadro dell'epoca�) e Inferno-Menschen der Zeit (Inferno-Uomini dell'epoca), e' il primo dei tre film che Fritz Lang ha dedicato alla figura del genio malefico del dottor Mabuse. Dai Mabuse discendono gli Himmler, gli Hitler...(Fritz Lang)

martedì 28 ottobre 2008

O NO!

Alicudi
Frana un costone, abitazioni senza luce e acqua


ALICUDI (MESSINA) - Una grossa frana si è staccata da uno dei costoni della montagna che sovrasta l'abitato dell'isola di Alicudi, nelle Eolie, ed è precipitata sulla strada comunale "Bazzina Mare". I detriti hanno invaso la strada per un tratto di oltre 50 metri, interrompendo la circolazione e danneggiando i cavi della rete elettrica e le tubature. Diverse case sono rimaste senza luce ed acqua. Gli isolani hanno chiesto l'intervento del sindaco di Lipari, Mariano Bruno, da cui dipende amministrativamente l'isola di Alicudi.

26/10/2008



Nei giorni scorsi una colossale frana ha sepolto, per un tratto di oltre 50 m di lunghezza, la strada comunale per Bazzina Mare nell’Isola di Alicudi. La caduta di un ampio tratto dei costoni soprastanti ha prodotto una conoide di detriti lunga almeno 150-180 m e devastato la rete elettrica e idrica che si snodava lungo tale strada. Si tratta di un ennesimo episodio prevedibile, anche se questa volta con proporzioni superiori a quanto finora mai accaduto, in un’area caratterizzata morfologicamente da un ampio tratto di versanti pericolosi, che necessitano di urgenti opere di messa in sicurezza. Lei conosce perfettamente i problemi che interessano tale zona, poiché, già alcuni anni fa e in veste di massima autorità della Protezione Civile del Comune, ha avuto un fitto scambio di corrispondenza con alcuni abitanti dei luoghi.
Stante la grave situazione verificatasi, e la conseguente interruzione della viabilità, delle forniture elettriche e di quelle idriche nella Contrada Bazzina, la interrogo per conoscere se ha predisposto interventi urgenti, o se prevede di farlo, relativamente di rimessa in pristino della viabilità nell’area considerata; se ha predisposto interventi per la definitiva messa in sicurezza dei costoni che garantiscano l’incolumità di chi accede a questa strada comunale; con la presente, si evidenzia che un rischio analogo incombe su altre strade comunali di Alicudi, in particolare quelle che si snodano trasversalmente al sistema dei valloni dell’isola, soprattutto la via soprastante che conduce a Contrada Sgubbio; in considerazione dei recenti e drammatici fatti verificatisi nell’isola, ritengo che sarebbe opportuna una maggiore attenzione rivolta dalla Sua amministrazione ai problemi che interessano la viabilità di Alicudi.

http://notiziariodelleeolie.myblog.it

domenica 4 novembre 2007

LA LEGGE LEVI-PRODI

La legge Levi-Prodi e la fine della Rete

Ricardo_Franco_Levi.jpg

Ricardo Franco Levi, braccio destro di Prodi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ha scritto un testo per tappare la bocca a Internet. Il disegno di legge è stato approvato in Consiglio dei ministri il 12 ottobre. Nessun ministro si è dissociato. Sul bavaglio all’informazione sotto sotto questi sono tutti d’accordo.
La legge Levi-Prodi prevede che chiunque abbia un blog o un sito debba registrarlo al ROC, un registro dell’Autorità delle Comunicazioni, produrre dei certificati, pagare un bollo, anche se fa informazione senza fini di lucro.
I blog nascono ogni secondo, chiunque può aprirne uno senza problemi e scrivere i suoi pensieri, pubblicare foto e video.
L’iter proposto da Levi limita, di fatto, l’accesso alla Rete.
Quale ragazzo si sottoporrebbe a questo iter per creare un blog?
La legge Levi-Prodi obbliga chiunque abbia un sito o un blog a dotarsi di una società editrice e ad avere un giornalista iscritto all’albo come direttore responsabile.
Il 99% chiuderebbe.
Il fortunato 1% della Rete rimasto in vita, per la legge Levi-Prodi, risponderebbe in caso di reato di omesso controllo su contenuti diffamatori ai sensi degli articoli 57 e 57 bis del codice penale. In pratica galera quasi sicura.
Il disegno di legge Levi-Prodi deve essere approvato dal Parlamento. Levi interrogato su che fine farà il blog di Beppe Grillo risponde da perfetto paraculo prodiano: “Non spetta al governo stabilirlo. Sarà l’Autorità per le Comunicazioni a indicare, con un suo regolamento, quali soggetti e quali imprese siano tenute alla registrazione. E il regolamento arriverà solo dopo che la legge sarà discussa e approvata dalle Camere”.
Prodi e Levi si riparano dietro a Parlamento e Autorità per le Comunicazioni, ma sono loro, e i ministri presenti al Consiglio dei ministri, i responsabili.
Se passa la legge sarà la fine della Rete in Italia.
Il mio blog non chiuderà, se sarò costretto mi trasferirò armi, bagagli e server in uno Stato democratico.

Ps: Chi volesse esprimere la sua opinione a Ricardo Franco Levi può inviargli una mail a : levi_r@camera.it
from Beppe Grillo's Blog

mercoledì 3 ottobre 2007

TANTI BACI SENZA UN PERCHè

Tanti baci senza un perchè
di Stefania Rossini

Studenti a scuola. Amici nei bar. Politici a congresso. Tutti con tutti. Il gesto dilaga sempre più. Come fermarlo?
Nicolas Sarkozy e Angela MerkelLa foto di Nicolas
Sarkozy che porge la guancia al bacio di Angela Merkel, palesemente rapita dal piglio maschio
del francese, racconta più di un idillio politico, peraltro pericolante. Sembra il manifesto di una tendenza allo sbaciucchio che non travolge soltanto politici in cerca di intese, ma si diffonde a macchia d'olio negli usi e costumi di noi tutti.Fateci caso. Basta passare davanti a un liceo di mattina, al momento dell'ingresso: ragazze e ragazzi, che non si vedono da meno di 24 ore, sono lì a baciarsi in una serie di saluti incrociati per classi di età e gruppetti di appartenenza. Basta trovarsi a cena in casa di amici e conversare senza impegno con ospiti sconosciuti: di lì a poco vi baceranno, e voi li bacerete, chiedendovi quasi sempre perché lo fate. Ma lo fate. Basta partecipare a una qualsiasi manifestazione pubblica e l'oratore, o leader o autore di libro che sia, non avrà avuto successo se in conclusione non sarà baciato dai presenti allineati in fila indiana. Basta persino incontrare un conoscente per strada, scambiare due notizie sul tempo, e sembrerà a entrambi impossibile lasciarsi senza il bacio di commiato. Non si sfugge più alla guancia umidiccia, al colpetto sulla spalla, al buffetto di intesa. Tranne pochi scontrosi resistenti, gli italiani oggi si baciano affratellandosi senza affetto in questo moderno, e ormai ovvio, cerimoniale. Ultimamente Pietro Citati notava come il dilagare del 'tu' indifferenziato, confidenza che pretende di esprimere l'epoca dell'amicizia universale, riveli in realtà la fine di ogni rapporto personale. Se è così per il 'tu', che ha sostituito quel cauto 'lei' capace di misurare distanza e diversità, figuriamoci per il bacio. Nato nella notte dei tempi nel segno di una carnale intimità (pare che le nostre antenate praticassero lo svezzamento bocca a bocca, come gli uccelli) era rimasto patrimonio dell'eros e dell'arcaica soddisfazione orale. Ora rivive sotto il segno del rito sociale tra semiestranei, quasi a negare il profondo disinteresse reciproco.
Quando, nel 1979, il leader sovietico
Leonid Breznev unì ad occhi chiusi le proprie labbra a quelle del premier della Germania orientale Erich Honecker, la foto fece il giro del mondo e segnò l'inizio di un epoca. Poco interessava che il bacio sulle guance e sulla bocca fosse una tradizione dell'Est europeo: quei due uomini, veri e duri per statuto ideologico, che si baciavano con ambiguità, dettero il segnale di uno smottamento simbolico. Non sarà un caso se a partire da allora nel mondo politico di ogni colore ci si bacia e ribacia come se si stesse sempre a una festa di matrimonio. La tentazione del riserbo non assale, per esempio, Walter Veltroni e Francesco Rutelli che ci fanno sopra pure le moine. Quando un anno fa visitarono insieme la Domus Aurea fermandosi davanti al 'mosaico della vendemmia'( uomini nudi a grandezza naturale che pigiano l'uva) sussurrarono ai giornalisti: "Ci siamo baciati, ma non ditelo alle nostre mogli". Niente di male, tutto fa audience politica, ma ce lo vedete Togliatti che sbaciucchia De Gasperi o Moro che si strofina a Berlinguer? Neanche i passaggi di consegne istituzionali sono ormai esenti dal bacio obbligato. Valgano per tutti Casini che non lascia la Camera prima del dovuto guancia a guancia con Bertinotti o Napolitano che al giuramento del governo Prodi bacia, chissà perché, solo Emma Bonino.Negli eventi e nelle feste della politica, come nelle campagne elettorali, lo sbaciucchio ha comunque stravinto sui vecchi gesti virili di saluto, pugno chiuso compreso. "Dammi un bacio segretario" hanno gridato in molti a Fassino con gli occhi lucidi, il giorno del suo addio, a chiusura dell'ultima Festa dell'Unità. E si sono messi in fila ad aspettare il turno, prima i dirigenti, poi se c'è tempo un bacio a tutti. Alle donne pubbliche, che sommano la presunta baciabilità femminile alla notorietà, va persino peggio. Quando sembrava che toccasse a lei l'investitura da leader dei democratici, Anna Finocchiaro fu travolta al congresso di Firenze dal bacio di massa di militanti femmine a cui si apriva finalmente il pertugio del potere (come si è visto, subito richiuso d'ufficio). Rosy Bindi, che si è presa da sola l'investitura da candidata, ha invece affinato in campagna elettorale una tecnica di salvataggio: se riesce a schivare l'assalto del primo bacio, il secondo non osa, ed è fatta.
Ma sul bacio politico Berlusconi ha fatto scuola durevole, mostrando come si dimostrino mediaticamente utili le affettuosità sia con gli amici premier, da Putin a Bush, sia con i sodali italiani. Lo batte in quantità soltanto Salvatore Cuffaro, presidente della regione Sicilia, non a caso detto vasa vasa. Cuffaro bacia tutti, centinaia di baci a centinaia di estranei, ogni giorno, da una vita. E lo teorizza pure. Nel libro 'Il coraggio della politica' scrive: "Il bacio è simbolo di una capacità di umanizzare la politica che non si lascia assorbire da nessun formalismo e dalla differenza dei suoli sociali". Un'arma elettorale insomma, ma anche un modo sicuro per neutralizzare l'infortunio, se tra migliaia di baci ce ne scappasse uno sospetto (Andreotti docet). Altro caposcuola e responsabile del bacio a tutti i costi è Roberto Benigni, ma i suoi sono colpi di teatro a scapito dell'inerme di turno: spiazzano invece di compiacere e sono difficili da imitare. Il bacio socialmente vincente è quello dell'incontro fugace di guance, solo raramente reso più intenso dal sonoro o dall'umido. È la trasposizione corporale dei tvb (ti voglio bene) dei messaggini telefonici degli adolescenti, ormai chiusura obbligata di comunicazioni anche tra molti adulti. È il contrario del rapporto, dicono gli psicologi: il contatto virtuale al posto dell'incontro reale. C'è una sola categoria ancora indenne dal trionfante e asettico saluto. È quella degli irriducibili del baciamano, come Francesco Cossiga, Luca di Montezemolo, Maurizio Gasparri o Tony Renis. Forse conviene imitarli, cercando magari di non incorrere nell'infortunio di Rocco Bottiglione che a forza di baciare mani di madame e madamine nella sua intensa (e sfortunata) campagna a candidato sindaco di Torino, pare abbia baciato con trasporto anche la mano tesa di un transessuale. Per tutti gli altri c'è un'unica via d'uscita. Quando è in arrivo l'interlocutore col bacio già dipinto sulle labbra, bisognerebbe stendere il braccio rigido e ingiuntivo imponendo la vecchia stretta di mano. Ma si passerebbe per inibiti, per fobici, per asociali. Cioè per persone normali.

domenica 2 settembre 2007

William Klein


William Klein, ironico e divoratore William Klein sul set del film Mr Freedom mourant, 1968 William Klein ha sovvertito il cinema, proprio come aveva rivoluzionato la fotografia con il suo libro su New York, nel 1956. La sua visione d’autore consiste nel prendere un argomento che conosce bene (la moda, i media, l’impegno politico) e nello smontarne i meccanismi attraverso la finzione. Come una bambola i cui meccanismi vengono messi a nudo per renderla ancora più bella. Spinge il tratto fino alla farsa, all’agitazione e alla propaganda politica. E’ sempre in anticipo, di uno o due decenni. Per ognuno dei suoi venti film, cerca uno stile adeguato. Qui êtes-vous Polly Maggoo? (1965-66) contiene fumetti, fiabe, farse grossolane, coreografia e prefigura le commedie grottesche della moda attuale. Klein fa a oltranza la caricatura degli appassionati e dei dittatori/dittatrici della moda. Poi si permette di essere stravagante, come la commedia americana della sua infanzia con il principe azzurro da operetta che si innamora della foto di una star dei telefilm. Il suo approccio è ancora più caustico in Mister Freedom (1967-68), un pamphlet contro l'America "poliziotto del mondo". Disegnato e sceneggiato da William Klein, Freedom prefigura il Pop, con i suoi blu bianchi e rossi entrati nell’uso comune. Le riunioni accese del "movimento Freedom" ci danno un’anticipazione delle messe del Lepenismo ante litteram. William Klein se la prende con l’urbanizzazione selvaggia in Le couple témoin (1975-76) . Una piccola coppia lambda (André Dussolier e Anémone), viene posta sotto la sorveglianza di psico-sociologi strampalati e sadici, in un appartamento-campione. Klein prende in giro i fanatici del consumismo e fa scoppiare la coppia in base alla punteggiatura, in una scenografia bianca non sensica. Non c’è da stupirsi se André Dussolier si sia sentito "oggetto delle provocazioni" di Klein, cosa di cui lui era divertito. I documenti-ritratto di Klein parlano di tre super-Negri, Muhammad Ali the Greatest, Eldrige Cleaver, Black Panther e The Little Richard story. Sono gli "Apriti Sesamo" della sua America. Cassius Clay, geniale pugile del Kentucky che si credeva chi sa chi, comprato come un cavallo da alcuni nobili, diventa due volte campione del mondo dei pesi massimi. William Klein lo segue, con passione ma senza adulazione, e restituisce l’immagine dell’atleta più famoso della Storia, con un’energia ed un respiro sconosciuti nel cinema di documentario. Il fatto è che Klein è avvezzo ai reportage e ha lo sguardo divoratore. Little Richard story è un’altra faccia dell'America, quella di un cantante rock che inizia una strada in declino e finisce per vendere Bibbie per due Evangelisti bianchi, esponenti del racket, che lo esibiscono e lo sfruttano. Sentendosi preso in giro, Little Richard lo pianta in asso e sparisce durante le riprese del film. Klein, senza perdersi d’animo, organizza un concorso per sosia di Little Richard, lancia un "Little Richard Day " senza Richard, filma il tutto e finisce il documentario senza il suo eroe. E’ straziante, ridicolo e commovente. Quanto a Eldrige Cleaver, Black Panther, ricercato dall’FBI e rifugiato ad Algeri, Klein lo filma per tre giorni e tre notti mentre declama un discorso illuminato sulla "nuova rivoluzione americana". Klein bracca con inquadrature sempre più ravvicinate un Cleaver che farnetica, tritura un coltello a serramanico e fuma. Se Muhammad Ali è un falso clown e un vero Messia, Cleaver è un falso Messia e un autentico svitato. William Klein sceglie di esprimersi con lo sport, il rock, la musica e i Messia. Su l’Oratorio di G-F Haendel, sta girando Le Messie. Dice: "Sarà Gesù + Charlot". Claire Clouzot http://www.photographers.it/articoli/klein.htm