THERE IS ALWAYS HOPE

THERE IS ALWAYS HOPE
"Prendete una sedia e sistematevi sull'orlo del precipizio: solo allora potrà avere inizio la storia che voglio raccontarvi"
Francis Scott Fitzgerald

martedì 2 dicembre 2008

COSIMO E VIOLA

Era lì sul prato, bella come non mai, e la bellezza che induriva appena i suoi lineamenti e l’altero portamento della persona sarebbe bastato un niente a scioglierli, e riaverla tra le braccia…
Poteva dire qualcosa, Cosimo, una qualsiasi cosa per venirle incontro, poteva dirle:
- Dimmi cosa vuoi che faccia, sono pronto… - e sarebbe stata di nuovo la felicità per lui, la felicità insieme senza ombre.
Invece disse:
- Non ci può essere amore se non si è se stessi con tutte le proprie forze.
Viola ebbe un moto di contrarietà che era anche un moto di stanchezza. Eppure ancora avrebbe potuto capirlo, come difatti lo capiva, anzi aveva sulle labbra le parole da dire: “Tu sei come io ti voglio” e salire subito da lui… Si morse un labbro.
Disse:
- Sii te stesso da solo, allora.“Ma allora esser me stesso non ha senso”, ecco quello che voleva dire Cosimo.
Invece disse:
- Se preferisci quei due vermi…
- Non ti permetto di disprezzare i miei amici!
- lei gridò e ancora pensava: “A me importi solo tu, è solo per te che faccio tutto quel che faccio!”
- Solo io posso essere disprezzato.
- Il tuo modo di pensare!
- Sono una cosa sola con esso.
- Allora addio. Parto stasera stessa. Non mi vedrai mai più.
Corse alla villa, fece i bagagli, partì senza neppure dire niente ai luogotenenti. Fu di parola. Non tornò a più Ombrosa. Andò in Francia e gli avvenimenti storici s’accavallarono alla sua volontà, quand’ella già non desiderava che tornare. Scoppiò la rivoluzione, poi la guerra; la Marchesa dapprima interessata al nuovo corso degli eventi (era nell’entourage di Lafayette), emigrò poi nel Belgio e di là in Inghilterra. Nella nebbia di Londra, durante i primi anni delle guerre contro Napoleone, sognava gli alberi d’Ombrosa. Poi si risposò con un lord interessato nella Compagnia delle Indie e si stabilì a Calcutta. Dalla sua terrazza guardava le foreste, gli alberi più strani di quelli del giardino della sua infanzia, e le pareva ogni momento di vedere Cosimo farsi largo tra le foglie. Ma era l’ombra d’una scimmia o d’un giaguaro.
[...]
Cosimo restò per lungo tempo a vagabondare per i boschi, piangendo, lacero, rifiutando il cibo. Piangeva a gran voce come i neonati, e gli uccelli che una volta fuggivano a stormi all’approssimarsi di quell’infallibile cacciatore, ora gli si facevano vicini, sulle cime degli alberi intorno o volandogli sul capo, e i passeri gridavano, trillavano i cardellini, tubava la tortora, cinguettava il fringuello e il luì; e dalle altre tane uscivano gli scoiattoli, i ghiri, i topi campagnoli, e univano i loro squittii al coro, e così si muoveva mio fratello in mezzo a questa nuvola di pianti.
Poi venne il tempo della violenza distruggitrice: ogni albero, cominciava dalla vetta e, via una foglia via l’altra, rapidissimo lo riduceva bruco come d’inverno, anche se non era d’abito spogliante. Poi risaliva in cima e tutti i ramoscelli li spezzava finché non lasciava che le grosse travature, risaliva ancora, e con un temperino cominciava a staccare la corteccia, e si vedevano le piante scorticate scoprire il tronco bianco con abbrividante aria ferita.
E in tutto questo rovello, non c’era più risentimento contro Viola, ma soltanto rimorso per averla perduta, per non aver saputo tenerla legata a sé, per averla ferita con un ingiusto e sciocco orgoglio. Perché, ora lo capiva, lei gli era stata sempre fedele, e se si portava dietro altri due uomini era per significare che stimava solo Cosimo degno d’essere il suo unico amante, e tutte le sue insoddisfazioni e bizze non erano che la smania insaziabile di far crescere il loro innamoramento non ammettendo che toccasse un culmine, e lui lui lui non aveva capito nulla di questo e l’aveva inasprita fino a perderla.
Per alcune settimane si tenne nel bosco, solo come mai era stato; non aveva più neanche Ottimo Massimo, perché se l’era portato via Viola. Quando mio fratello tornò a mostrarsi a Ombrosa, era cambiato. Neanch’io potevo più farmi illusioni: stavolta Cosimo era proprio diventato matto.

da Il barone rampante, Italo Calvino

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